Perché le balene non si ammalano di cancro (più spesso)?

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Elefanti e balene hanno qualcosa in comune: sono mammiferi di grandi dimensioni che non si ammalano di cancro tanto spesso quanto dovrebbero. Animali giganteschi, con molte più cellule rispetto a noi che possono accumulare mutazioni e trasformarsi in cellule cancerose: allora perché la loro probabilità di sviluppare il cancro è circa 1000 volte inferiore alla nostra?

Abbiamo già parlato del paradosso di Peto: è la mancanza di correlazione tra dimensioni del corpo e suscettibilità al cancro tra le specie. Gli organismi unicellulari non si ammalano di cancro; al contrario, ogni organismo pluricellulare ha una certa probabilità di sviluppare un tumore durante la propria vita, poiché le cellule che lo compongono si rigenerano continuamente. Non a caso una storica frase del libro di Anatomia Patologica "Robbins" afferma che "l'unico modo sicuro per non ammalarsi di tumore, è non nascere, vivere significa correre il rischio".  Il “paradosso” è che animali grandi e longevi come elefanti o balene hanno una minore probabilità di ammalarsi di cancro rispetto a mammiferi più piccoli, come gli esseri umani. D'altra parte, mammiferi piccoli e con vita breve, come topi o ratti, hanno una probabilità tre volte maggiore di sviluppare un tumore rispetto agli uomini. Insomma, il contrario di quello che ci aspetteremmo di osservare. Ma non preoccupatevi: i biologi ci sono abituati!

E sono anche molto interessati a carpire i segreti di questi grossi mammiferi, così straordinariamente resistenti al cancro. Gli elefanti hanno risolto il paradosso di Peto aumentando il numero di copie di un gene soppressore del tumore chiamato TP53 (se non hai ancora letto il nostro articolo al riguardo, clicca qui: https://goo.gl/yNs3JP). Ma le balene, nonostante possano vivere fino a 200 anni, si ammalano di cancro ancora più raramente e non sembrano possedere copie extra di geni anti-tumorali.

Esistono altre soluzioni al paradosso di Peto?

Per quanto riguarda i nostri grossi mammiferi marini, ci sono almeno due possibili spiegazioni.

  • Più tempo e…iper-tumori

Poiché le balene sono molto grandi, anche i loro tumori devono diventarlo per manifestarsi clinicamente. Ciò richiede molto tempo, perché il tumore deve accumulare un grande numero di cellule aggressive per raggiungere le dimensioni adeguate. Durante questo periodo, possono accadere due cose: le difese dell'animale possono avere abbastanza tempo per riparare il DNA danneggiato e distruggere le cellule pre-cancerose; oppure, e questo è forse meno ovvio e non ancora dimostrato, si potrebbero formare “iper-tumori”. Nonostante il nome per nulla rassicurante, gli iper-tumori potrebbero effettivamente beneficiare il loro ospite. Sono costituiti da un gruppo di cellule particolarmente aggressive che "rubano" le risorse dal tumore “genitore”, impedendogli di raggiungere la dimensione letale. Un vero sabotaggio, dettato dalle regole della selezione naturale.

  • Metabolismo lento

Gli animali più grandi hanno un metabolismo più lento. Le reazioni del metabolismo estraggono energia dai nutrienti che introduciamo con la dieta, ma producono anche alcuni prodotti collaterali tossici per cellule e tessuti. Le specie reattive dell'ossigeno sono i sottoprodotti più famosi del metabolismo e possono danneggiare il DNA, generando numerose mutazioni correlate ad un aumento del rischio di cancro. Poiché negli animali più grandi queste specie sono meno abbondanti, il DNA è meno esposto ai danni causati dallo stress ossidativo.

Non mancano altre ipotesi, come una maggiore efficienza del sistema immunitario nel riconoscere e attaccare le cellule tumorali, un ridotto numero di divisioni cellulari o la capacità di bloccare la proliferazione in caso di mancato funzionamento dei meccanismi di controllo del genoma. Siamo ancora all'inizio della nostra ricerca delle soluzioni al paradosso di Peto, ma è ormai palese che alcuni animali hanno più difese contro il cancro rispetto ad altri… e sono proprio quelli su cui, forse, non avremmo mai scommesso! Ma se ci pensiamo bene, non è poi così strano: la difesa contro il cancro è costosa e per alcuni animali più piccoli, come i roditori, non avrebbe senso investire energia in sofisticate strategie anti-cancro; è probabile che finiscano tra le grinfie di qualche predatore prima che un eventuale cancro abbia anche solo il tempo di svilupparsi, dopottutto. E allora, meglio ottimizzare le risorse per il nutrimento o la riproduzione. Ma per le balene o gli elefanti, il gioco vale sicuramente la candela.

Il potenziale traslazionale di queste ricerche non ci è sfuggito: i meccanismi genetici che proteggono una specie dal cancro possono essere trasferiti a un'altra specie (ad esempio… la nostra)? 

Erika Salvatori

Fonte:

Marc Tollis, et al. (2017). Peto’s Paradox: how has evolution solved the problem of cancer prevention? BMC Biol. 15: 60.

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