Coronavirus nel gatto: la doppia faccia di un virus trasformista
Appartiene alla stessa famiglia di Sars-Cov-2, ma colpisce una specie diversa dalla nostra. È il coronavirus enterico felino (FEPV), un virus gastrointestinale apparentemente innocuo, che può però mutare in una forma aggressiva, responsabile di una malattia sistemica letale – la peritonite infettiva felina (FIP).
Il coronavirus felino, come la sua controparte umana, è formato da un filamento di RNA e una capsula proteica composta da 4 proteine strutturali:
- Spike (S)
- Envelope (E)
- Membrana (M)
- Nucleocapside (N)
Il virus infetta l’ospite per mezzo della proteina spike, che si lega a un recettore sconosciuto sulla superficie della cellula. Le più colpite sono le cellule dell’intestino, ma l’infezione di solito è asintomatica o comunque guarisce spontaneamente entro pochi giorni. Ma all’interno dell’ospite, il virus può mutare e trasformarsi in una versione più aggressiva – quasi identica alla prima, ma con un tropismo diverso.
Il virus trasformista
I due biotipi, o patotipi, del coronavirus felino si chiamano rispettivamente FEPV (coronavirus enterico felino) e FIPV (coronavirus della peritonite infettiva felina). Il primo è praticamente innocuo, rimane sempre nell’intestino ed è asintomatico o porta episodi acuti di diarrea e vomito. Il secondo, invece, infetta i monociti e i macrofagi, che sono cellule del sistema immunitario presenti nel circolo sanguigno e nei tessuti. FIPV, dunque, esce dall’intestino e causa una malattia sistemica letale, la peritonite infettiva felina, caratterizzata da un versamento addominale che compromette la funzione degli organi interni, in particolare fegato, polmoni e apparato gastrointestinale.
La maggior parte dei gatti randagi (80-100%) e una buona parte di quelli domestici (25-40%) entra in contatto con il coronavirus felino almeno una volta nella vita. Ma soltanto una piccola percentuale, il 2-6%, si ammala di FIP. La malattia, infatti, si manifesta solo nel caso in cui il virus subisca una mutazione all’interno dell’organismo ospite, che lo trasforma dalla forma innocua (FEPV) a quella patogena (FIPV).
I ricercatori non sono ancora riusciti a capire quale sia il meccanismo che innesca la trasformazione del virus. Hanno però identificato delle mutazioni specifiche nelle due forme, in particolare a carico della proteina spike. Pochissime mutazioni possono cambiare il modo in cui la proteina si lega al recettore modificando il tropismo del virus, che acquista la capacità di infettare cellule diverse dagli enterociti - in particolare i monociti e i macrofagi.
La sfida per un vaccino
Sin dai primi mesi del 2020, i laboratori di tutto il mondo hanno dato inizio a una corsa globale per il vaccino contro Covid-19. In passato la comunità scientifica aveva anche iniziato a sperimentare i vaccini contro altri due coronavirus, quelli della Sars e della Mers. Nonostante gli sforzi, però, ad oggi non esistono ancora vaccini approvati per le persone contro questi o altri coronavirus, che pure sono conosciuti da quasi 60 anni.
Anche contro il coronavirus felino non c’è ancora un vaccino. In passato, gli esperimenti di immunizzazione dei gatti con virus vivo o inattivato hanno dato risultati poco soddisfacenti. La vaccinazione sembra addirittura avere l’effetto collaterale di rendere il gatto ancora più suscettibile alla malattia. La spiegazione sta in un meccanismo descritto anche per la Sars, il “potenziamento mediato da anticorpi” o ADE (dall’inglese “Antibody-Dependent Enhancement”).
L’ADE si verifica quando gli anticorpi stimolati dal vaccino non neutralizzano il virus, ma forniscono una via d’accesso secondaria nelle cellule del sistema immunitario. I complessi virus-anticorpo, infatti, possono legarsi a un recettore espresso sulla superficie di monociti e macrofagi che riconosce una precisa porzione dell’anticorpo chiamata Fc. Un gatto vaccinato potrebbe quindi essere paradossalmente più suscettibile a manifestare i sintomi della malattia rispetto a uno non vaccinato, poiché le sue cellule immunitarie sarebbero più facilmente bersaglio dell’infezione.
La strada per un vaccino sicuro è quindi ancora lunga e richiede una comprensione profonda del meccanismo dell’ADE. Un’alternativa potrebbe essere quella di disegnare un vaccino che induca, oltre alla produzione di anticorpi, anche una forte risposta cellulare da parte dei linfociti T, che neutralizzano i patogeni intracellulari distruggendo le cellule infette. Dopo essere stati attivati, inoltre, mantengono più a lungo la “memoria”, che è importante per garantire una protezione a lungo termine.
Il nostro contributo
In Vitares contribuiamo in prima persona, insieme alle aziende Takis ed Evvivax, alla ricerca per il vaccino Covid-19. Il nostro team, in parallelo, sta sviluppando un progetto per un vaccino genetico contro la peritonite infettiva felina. Lo scopo è quello di sfruttare la nostra esperienza con Sars-Cov-2 per disegnare un altro vaccino contro un virus strutturalmente simile. Utilizzeremo la stessa tecnica che ha già prodotto risultati soddisfacenti contro Sars-Cov-2 negli studi preclinici, sia come produzione di anticorpi anti-spike che come induzione di una risposta cellulare mediata da linfociti T specifici.
Per informazioni:
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Sars-Cov-2, gatto, coronavirus enterico felino (FEPV), peritonite infettiva felina (FIP)