Dal bancone del laboratorio al letto del paziente: il valore della ricerca traslazionale

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Perché sosteniamo la ricerca traslazionale? Perché abbiamo a cuore i pazienti e sappiamo quanto l’ingresso di ogni nuovo farmaco in clinica contribuisca a migliorare la loro qualità di vita. Dalla scoperta di una nuova molecola o meccanismo, spesso trascorrono anni prima che i pazienti ne traggano effettivamente beneficio. Il nostro obiettivo è accelerare questo processo, mettendo sempre al primo posto la sicurezza delle persone. Come si fa a compiere il “salto” dal laboratorio al paziente?

Dal bancone di laboratorio al letto del paziente

La strada da percorrere per un candidato farmaco prima di raggiungere i pazienti è lunga. C’è prima una fase pre-clinica, durante la quale viene sottoposto a test, sia in vitro che in vivo, su colture cellulari e animali da laboratorio. Solo in caso di esito positivo e assenza di tossicità significative, può accedere alla sperimentazione clinica sugli esseri umani (“trial clinici”). Nei trial di fase I, il farmaco viene testato su un piccolo numero di volontari sani, al fine di accertare la sicurezza e la tolleranza da parte dell’organismo. Seguono poi i trial di fase II e III: il farmaco viene somministrato ai pazienti (prima su un piccolo numero, poi su gruppi più grandi) per valutare la sua efficacia contro la malattia rispetto a un placebo.

Tutti questi esperimenti e verifiche richiedono anni, anche decenni, ma sono cruciali per garantire la sicurezza e l'efficacia di ogni nuova medicina. Il candidato farmaco può avanzare alla fase successiva solo se ha superato con successo tutte le precedenti. Anche quando viene immesso sul mercato, continua a essere tenuto sotto stretta osservazione, registrando prontamente ogni effetto collaterale. Insomma, non è il classico uno su mille: qui solo uno su molte decine di migliaia ce la fa!

Leggere tra le righe del genoma

Ad oggi, esistono numerosi strumenti per la ricerca traslazionale, che rendono il percorso del farmaco un po’ meno in salita. Il costo del sequenziamento del genoma è drasticamente diminuito e nel prossimo futuro lo sarà ancora di più, spianando la strada alla medicina personalizzata.

Grazie al sequenziamento genico, non è necessario eseguire milioni di test alla cieca. Una scrupolosa analisi genetica può identificare in anticipo i "punti deboli" delle malattie, quelli più suscettibili all’azione dei farmaci. Una piena conoscenza del bersaglio rende più facile e veloce la progettazione di molecole terapeutiche. Ma c’è molto di più scritto nei nostri geni, ad esempio la probabilità di ognuno di rispondere a una certa terapia: un’informazione per selezionare i pazienti da reclutare negli studi clinici tra coloro che hanno maggiori probabilità di beneficiare del farmaco o che sono meno sensibili ai suoi effetti collaterali.

Mini-organi cresciuti in laboratorio

traslational medicineOgni farmaco viene testato in vitro e in vivo negli animali da laboratorio prima di accedere alla sperimentazione clinica sugli esseri umani. Ma possiamo davvero fidarci dei dati pre-clinici?

In generale, sì. Eppure, se vi è mai capitato di vedere una coltura cellulare, concorderete che non somiglia per niente a un organo o tessuto reale. Le cellule tipicamente aderiscono alla superficie di una fiasca o di una piastra, formando un mono-strato, oppure galleggiano disordinatamente, sospese nel mezzo di coltura. Recentemente, i ricercatori sono riusciti a generare modelli in vitro più simili alle loro controparti reali. Si chiamano colture cellulari 3D o organoidi e vengono cresciuti in laboratorio a partire da una manciata di cellule staminali umane che formano strutture 3D auto-assemblate, come fossero organi in miniatura.

Mini-stomaci, intestini su piccola scala, cervelli o polmoni microscopici, ecc. possono essere usati per testare gli effetti di un farmaco sul suo tessuto o organo bersaglio. Non sostituiscono completamente la necessità dei modelli animali, poiché naturalmente non consentono di registrare gli effetti sistemici della terapia e come questa interagisce con regioni anche distanti dal sito bersaglio. Ma comunque, riducono il numero di animali impiegati nella ricerca e completano con informazioni preziose la carrellata di dati pre-clinici, accelerando notevolmente il passaggio ai pazienti

Medicina umana e veterinaria: l’unione fa la forza

traslational medicineChe il paziente abbia due o quattro zampe, sia più o meno peloso, possieda o meno una coda, può non essere così importante: alcune malattie spesso si assomigliano, indipendentemente dalla specie dei loro portatori. Questo è vero per alcuni tumori umani che sono molto simili, sia geneticamente che istologicamente, a quelli dei animali domestici, in particolare i cani e in misura minore i gatti. Non c'è da stupirsi che gli stessi farmaci spesso funzionino su entrambi.

Nel nostro sforzo di sostenere la medicina traslazionale, abbiamo sempre promosso la formazione di reti di collaborazione tra medici umani e veterinari. Gli studi clinici veterinari possono fornire dati utili per accelerare la ricerca di nuove terapie per l’uomo. Ma è vero anche il contrario: gli animali possono beneficiare di terapie già disponibili per gli esseri umani o che sfruttano gli stessi meccanismi. Poiché viviamo nello stesso “habitat” dei nostri animali domestici, un approccio unificato può anche aiutare a identificare i fattori di rischio ambientali comuni per molte malattie, primo fra tutti il cancro.

Erika Salvatori

Fonte:

Wang, Z. et al. (2018). Paradoxical effects of obesity on T cell function during tumor progression and PD-1 checkpoint blockade. Nature Medicine.

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