Vaccinare la fauna selvatica: così bloccheremo le prossime pandemie?

Coronavirus

Vaccinare la fauna selvatica potrebbe bloccare la prossima pandemia.  Dopo Sars-Cov-2 altri patogeni potrebbero compiere il fatidico salto di specie dagli animali all’essere umano. L’unico modo per proteggere la nostra specie è quello di giocare d’anticipo, impedendo la diffusione del virus nella popolazione animale.

Covid-19 è solo l’ultima di una lunga serie di zoonosi, malattie trasmesse dagli animali all’essere umano. Fenomeni di spillover sono accaduti in passato – SARS, MERS, Ebola e Nipah sono solo alcuni esempi – e continueranno con ogni probabilità ad accadere anche nel prossimo futuro. Come fare allora per proteggere la nostra specie? È chiaro ormai che non basta più solo reagire: dobbiamo anche prevenire e identificare i patogeni a rischio di spillover prima che contagino noi. Dobbiamo insomma bloccare la diffusione del virus nella popolazione animale prima del salto di specie, vaccinando la fauna selvatica . Ma gli animali selvatici tendono a nascondersi e a sfuggire al contatto umano: vaccinare un numero di esemplari tale da creare un’immunità di gregge è un’impresa quasi impossibile.

Sulle pagine di Nature Ecology and Evolution, due biologi dell’università dell’Idaho sostengono che il problema potrebbe essere superato usando dei vaccini che si diffondono da soli in una popolazione selvatica.

In passato gli scienziati sono riusciti a controllare la diffusione della rabbia nelle volpi e nei procioni grazie a vaccini commestibili contenuti in esche distribuite nei loro habitat. Ma non tutti gli animali che ospitano patogeni sono attratti dalla esche – non i pipistrelli, ad esempio. I vaccini ad autodisseminazione, al contrario, possono raggiungere un numero maggiore di animali vaccinando solo pochi esemplari. Il loro punto di forza, infatti, è quello di diffondersi autonomamente nella popolazione per mezzo del contatto fisico o infettando gli animali.

Esistono due tipi di vaccini ad autodisseminazione:

  • Vaccini trasferibili
  • Vaccini trasmissibili

Prendiamo il caso di una colonia di pipistrelli. Un vaccino trasferibile può essere somministrato a un solo animale come una preparazione che rimane incollata alla pelliccia. Quando gli altri pipistrelli lo ripuliscono dai parassiti (grooming) ingeriscono anche il vaccino: saranno dunque a loro volta immunizzati. La diffusione è limitata, ma, secondo il modello matematico riportato nello studio, sufficiente a eradicare un patogeno in una popolazione selvatica.

Il vaccino trasmissibile ha una capacità di diffusione ancora maggiore. Si tratta di un virus vivo modificato in grado di trasmettere una versione più debole della malattia. Pochi esemplari vaccinati possono trasmettere il virus modificato a un grande numero di altri animali. Il risultato è l’immunizzazione di intere popolazioni, anche numerose a costi ridottissimi. In questo caso, il rischio è che il virus modificato possa mutare di nuovo nella sua forma originale, producendo il risultato opposto. Ma grazie alla biologia molecolare è possibile inserire anche un solo gene del patogeno all’interno di un virus innocuo e ottenere comunque l’immunità.

Esiste per ora solo uno studio di campo che risale a circa 30 anni fa e dimostra che i vaccini trasmissibili sono una strategia sicura ed efficace per vaccinare la fauna selvatica – in quel caso il vaccino era contro una malattia letale emorragica nei conigli.

Ora, complice anche la pandemia Covid-19, i vaccini ad autodisseminazione potrebbero tornare a splendere. La sfida più grande, tuttavia, sarà quella di vaccinare gli animali contro le epidemie che potrebbero colpirci in futuro. Prima, insomma, che i patogeni compiano il salto di specie e contagino l’essere umano. Una corsa contro il tempo e soprattutto contro un nemico che ancora non conosciamo:  il progetto statunitense PREDICT dal 2009 al 2019 ha identificato più di 1000 nuovi virus con potenziale zoonotico e forse sono solo una piccola parte. Giocare d’anticipo in questo caso è difficile quanto cercare un ago in un pagliaio, e soprattutto è costoso. Ma ne vale la pena: Covid-19 ci ha insegnato che i costi per gestire una pandemia – che non sarà di certo l’ultima – sono senza dubbio maggiori.

Erika Salvatori

Fonte: Nature Ecology and Evolution

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